sabato 11 maggio 2019

Inside





Mentre i cloni dell'indimenticabile Limbo si moltiplicano con alterni (in genere scadenti) risultati, la danese Playdead di Arnt Jensen torna sullo schema dell'indimenticato platform/puzzle, ma senza ripetersi.
Anche stavolta il protagonista è un bimbo che deve procedere in un mondo ostile e angosciante evitando (si fa per dire: a via di frustranti tentativi le vediamo tutte) morti cruente, saltando su piattaforme, azionando meccanismi, trovando soluzioni a volte inquietanti, spesso geniali.



Laddove Limbo puntava (vincendo) sulla semplicità con un bianco e nero sporco e atmosfere cupe e purgatoriali, qui la narrazione è sostenuta da un apparato grafico e sonoro immersivo più complesso e ugualmente (amo la semplicità di Limbo, ma va ammesso, dovevano superarsi e si sono superati) straordinario. Scenari e inquadrature sono costruiti con cura certosia, e creano un senso di inquietudine gradevolmente intollerabile.


La trama va scoperta pian piano osservando gli eventi e le trappole. Aiutiamo il nostro protagonista a fuggire da hangar e laboratori, inseguito da cani, da vigilanti e da sistemi di sicurezza tanto semplici quanto inesorabili, e man mano che procediamo scopriamo quanto sia terribile il destino cui sta provando a sottrarsi. Impossibile non provare pietà per i corpi che si trascinano stancamente come automi, ma a volte quei corpi ormai svuotati devono essere letteralmente usati senza troppo ritegno. (Occorre ricordare che, benché l'interattività renda tutto un po' ussss soprattutto ai più anziani fra noi, è comunque soltanto una storia.)



Non aggiungo altro. Se avete amato Limbo (e se non l'avete amato, amatelo) dovete assolutamente vivere l'esperienza di Inside.
 

domenica 7 ottobre 2018

Doctor Who

"A mysterious woman, unable to remember her own name, falls from the Sheffield night sky."
Cosa volete di più che un titolo e di una sinossi perfettamente bowieana per incuriosirvi?
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A differenza della classificazione abituale, Doctor Who non è una serie di fantascienza ma più di tutto una fiaba, fantascientifica, che accompagna le famiglie britanniche da cinquantacinque anni, un vero e proprio elemento base della cultura britannica, al pari dei Beatles o della stessa famiglia reale (e pare che la Regina Elisabetta II sia una grande fan).
Il primo episodio della serie andò in onda il 23 novembre del 1963, la sera dell'assassinio di Kennedy (e ovviamente nessuno lo vide). La BBC accettò di replicarlo la settimana successiva grazie all'insistenza della produttrice Verity Lambert.
Grazie a quell'insistenza nacque la serie più longeva della storia della TV mondiale, 55 anni, 840 episodi, di cui 146 della serie moderna in onda dal 2005 a oggi, e 694 della serie classica trasmessa dal 1963 al 1989.
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La plausibilità tecnico/scientifica non importa (più che altro va al di là delle attuali conoscenze e di ciò che attualmente si suppone si possa mai conoscere, ecco), la sospensione dell'incredulità è alla base di tutto.
Non ci è dato sapere per quale motivo un popolo di Signori Del Tempo sia in grado di rigenerarsi, quale energia muova il Tardis, una macchina vivente in grado di spostarsi nel tempo e nello spazio e dotata di una sua bizzarra muta, fedele, capricciosa volontà (ha solo un piccolo guasto sul piano mimetico, bloccata alla forma di cabina della polizia degli anni sessanta). Ah, ed è più grande (immensa, infinita, come qualche episodio memorabile ci ha spiegato) all'interno.

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Ogni tanto il Dottore rinasce, anzi si rigenera, cosa che dovremmo fare un po' tutti, destando stupore incredulità delusione e nuova meraviglia negli affezionati spettatori. Ma è sempre lui. Ogni rigenerazione è un reboot, previsto e atteso, e ogni rinascita porta via alcuni spettatori, ma soprattutto aggiunge nuove schiere di entusiasti. Oggi per la prima volta vedremo in azione un Dottore donna, che come i veri fan sanno è una cosa assolutamente "canon", perché abbiamo già visto diversi Signori del Tempo rinascere di sesso opposto, ma ovviamente la cosa ha scatenato ire, delusioni, gioia, rabbia, aspettative, euforie. La verità è che ogni Dottore è amatissimo, e il successivo è sempre oggetto di grande, grande, grande diffidenza all'inizio. (Non da parte mia: per me il Dottore è il Dottore, lo riconosco e lo ritrovo sempre).
Doctor Who è sempre stata una serie dalla forte impronta femminile, in epoche in cui la tv era profondamente maschilista. Basti pensare, oltre alla grande Verity (cui fu dedicato anche un film, "Un'avventura nello spazio e nel tempo") alla memorabile sigla scritta da Ron Grainer ma resa memorabile dalla pioniera dell'elettronica Delia Derbyshire. Un brano che sembra scritto e suonato... domani.
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Le attese sono altissime per la nuova stagione, e lo testimonia Google. Cercando "doctor who"+"jodie whittaker" si ottengono 4.510.000 risultati, laddove "doctor who"+"peter capaldi" (dodicesimo Dottore, bravissimo ma penalizzato da sceneggiature non sempre all'altezza, soprattutto nella sua prima stagione, con una Clara Oswald più soprammobile e gattamorta che mai) i risultati sono 3.070.000. La ricerca stessa ricerca con i nomi degli amatissimi Matt smith (undicesimo Dottore) e David Tennant danno rispettivamente 9.680.000 e 8.680.000. E di Jodie Whittaker non è ancora andato in onda un solo episodio.
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Come entrare d'improvviso in questo universo senza avere un capogiro? Basta iniziare da... oggi.
Il nuovo showrunner Chris Chibnall (Broadchurch) afferma di aver girato una stagione assolutamente accessibile a chi non ha mai visto nulla. E se poi v'incuriosite, lo sapete, si può tornare indietro quando si vuole (a patto di non toccare nulla): time is wibbly wobbly timey wimey stuff.

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domenica 10 giugno 2018

9 songs

un film di Michael Winterbottom, 2004

"five thousand people in a room and you can still feel alone"

Dura poco più di un'ora questo film piccolo e delicato che racconta un amore tenero e passionale fra un ragazzo inglese e una ragazza americana, fra concerti (le nove canzoni del titolo) e amplessi mostrati senza alcuna censura né voyeurismo a tutti i costi, come semplice fondamentale parte di un amore.
Sono bellissimi loro, è bellissimo vederli amarsi e sentire le loro solitudini incontrarsi, e non c'è davvero molto da aggiungere.


martedì 8 maggio 2018

La casa di Carta (no spoiler)

Una volta tanto, anziché parlare di serie e videogame vecchi di anni e che piacciono solo a me, eccomi sul pezzo con qualcosa di attuale da adorare mentre il mondo la adora. Meritatamente.
La Casa di Carta narra le vicende della rapina del secolo - e in realtà qualcosa di più di questo. Come viene spiegato nei primi minuti del primo episodio, non è solo una rapina ma un piano geniale, di cui tutti diranno "Perché non ci ho pensato io?".
E già, perché non ci aveva pensato nessun altro?
Perché ci vuole un genio come il Professore - o come Álex Pina, autore della serie - a concepire minuziosamente, dettaglio per dettaglio, uno scenario del genere.

il cast di La Casa di Carta
il cast di La Casa di Carta


Capiamoci, senza fare spoiler (non ne faccio mai qui): come immaginerete non è neppure tecnicamente immaginabile una serie di tredici puntate (più seconda stagione di nove) in cui si racconta una semplice rapina. L'idea è molto più grande e vedrete crescere di puntata in puntata un meccanismo perverso e geniale.
Meraviglioso il cast (non stupitevi per i... nickname toponomastici, stiamo parlando di persone): Berlino (interpretato da Pedro Alonso, amorale, viscido e odioso ma con un'impeccabile etica della rapina), la protagonista assoluta Tokyo (lasciatemi unire al coro e spendere due parole su quanto è intensa e intrigante Úrsula Corberó, e come spacca lo schermo: ogni sua inquadratura è una coltellata al cuore), il giovane Rio (donne, provateci a dirmi che Miguel Herrán e il suo dolce personaggio vi hanno lasciato indifferenti), e ancora Nairobi (mi piace moltissimo il personaggio di Alba Flores, il prezioso consulente tecnico dell'operazione), e Denver, Mosca, i due fratelli Helsinki e Oslo; ogni nome di città una personalità, e dietro a ogni personalità, chissà, forse una piccola potenziale scintilla di guai che cova sotto alla serissima professionalità ed "etica criminale" di ciascuno. Perché qualcosa dovrà pure andare storto. Oppure no?

Ursula Corbero
Úrsula Corberó

La banda dei sogni insomma (o degli incubi, a seconda del punto di vista), abilmente diretta via filo dal Professore (Álvaro Morte), un personaggio indimenticabile che sembra una perfetta pacificazione fra il Walter White prima e dopo la cura: pacato, anonimo, meticoloso, garbato, ambizioso e implacabile.
Ma non posso e non voglio dirvi altro. Adesso sicuramente spunterà il classico bastian contrario a dire che La casa di carta non è è poi un granché. Legatelo a una sedia, imbavagliatelo, bannatelo, bastonatelo, fate quel che volete e guardate subito questa dannatissima serie.
Ogni tanto è bello adorare qualcosa che il mondo adora. Tuffatevi subito e senza paura: La Casa di Carta è una serie imperdibile.

Voto: 18 Dm*



* Dm, o Dommatteo, è la mia unità di misura per le serie TV. Un Dommatteo equivale al piacere provato da una vecchina guardando RaiUno il giovedì sera.

lunedì 7 maggio 2018

3%

C'è un momento nella tua vita in cui puoi giocarti finalmente la tua opportunità per uscire dallo squallore delle favelas ed entrare fra gli eletti nel Maralto*, il mondo nuovo dove tutto è pulito e giusto, dove il tuo merito diventa il premio tanto atteso. Il mondo creato dalla Coppia Fondatrice, un dono per il 3% migliore, meritevole, della popolazione.
Nessuno sa in cosa consista esattamente il Processo, quali siano i criteri di selezione e le prove da superare, quelli che sono tornati non possono parlarne.


Non voglio dire molto altro per non rovinarvi la visione. "3%" è una produzione brasiliana di Netflix e merita decisamente la visione. Non è perfetta, sembra davvero una cosina piccola e povera, e devo ammettere che funziona anche per questo. Come trovo positivo che non sia neppure stata doppiata in italiano. Amo lo spirito carioca che si respira nella narrazione, nei volti, nella recitazione. Anche se è una serie distopica è tutto profondamente meravigliosamente brasiliano, quindi sarebbe stato un peccato se qualcuno, tentato dal doppiaggio, si fosse perso l'opportunità di vivere l'esperienza nella bellissima lingua portoghese. (Ma ormai le serie non le guardiamo più doppiate, giusto?)
Della prima stagione ho amato le dinamiche fra i protagonisti e i piccoli e grandi flashback sul loro passato (con il piccolo diamante dell'episodio 1x05, bellissimo) e il sadico meccanismo claustrofobico delle selezioni. Come spesso accade con la migliore fantascienza (anche se qui "fantascienza" è un termine improprio) la serie offre una serie di spunti di riflessione sul mondo di oggi, su cosa siamo e stiamo diventando. Facile vedere nel Processo il feroce meccanismo stritolante di aspettative cui i ventenni del nostro mondo sono sottoposti oggi.

La seconda stagione appena arrivata su Netflix a prima vista sembra aver ricevuto un piccolo aumento di budget e un generale allargamento di orizzonti narrativi, con spunti molto interessanti. Aggiornerò questo post non appena l'avrò finita: se sono riusciti a mantenere interessante, semplice e ingegnosa la trama sarà ancora una volta tempo molto ben speso.

Voto: 16 Dm**



*incongruamente tradotto "Offshore" nei sottotitoli, e si fa insistente l'atroce sospetto che non sia stata effettuata una traduzione diretta por>ita, aaargh
 ** 1 Dm, o Dommatteo, è la mia unità di misura per le serie TV. Un Dommatteo equivale al piacere provato da una vecchina guardando RaiUno il giovedì sera.

domenica 6 maggio 2018

Niente paura, Little Wood!

Nel 2017 ho tradotto davvero tanti libri, e finalmente cominciano a venir fuori.
Ecco quindi "Niente Paura, Little Wood!" di Jason Reynolds, storia di due fratellini che dal caos rassicurante di New York si trovano loro malgrado a vivere un'estate indimenticabile in un mondo dalle regole tutte nuove, indagando fra i segreti di un nonno bizzarro, esplorando i boschi, facendo nuove amicizie, imparando, crescendo.
Vivere nella testa del piccolo Genie, seguire il suoi ragionamenti buffi ma profondi e le sue strane annotazioni sul mondo, affrontare le sue ansie di ragazzino, vederlo interagire con il fratello maggiore mi ha ricordato tante cose bellissime di quando avevo la loro età. 


Reynolds è un autore che sta affermandosi meritatamente negli Stati Uniti e anche da noi inizia a comparire nelle librerie (altre sue opere sono uscite o stanno uscendo per Rizzoli).
Vi consiglio caldamente questo libro, è bello anche da toccare e sfogliare, sembra un oggetto di un'altra epoca, con questa copertina rigida e grezza, così bella, un oggetto di editoria artigiana d'altri tempi.
Richiedetelo al vostro libraio o visitate direttamente il link qui sotto: Terre di Mezzo è un editore giovane e per forza di cose ha una distribuzione più piccola; difficilmente lo vedrete nelle vetrine o in grosse pile in prima fila nelle grandi librerie, ma richiedendolo lo troverete, e dal sito potete prenderlo a un prezzo molto vantaggioso.
Di rado faccio veri e propri "consigli per gli acquisti", ma mi piace come è nato questo volume, il rapporto che si è instaurato fra me e i redattori, il senso di cura artigianale che ho colto in questa operazione e che pervade anche l'odore e la grana della carta (ma io lavoro sempre con persone splendide e su libri quasi sempre molto belli, sono un uomo fortunato, me ne rendo conto); soprattutto credo che possa essere davvero un'appassionante lettura estiva per i ragazzi - e anche per i loro genitori. Vi ho convinto?

A prezzo scontato qui direttamente dall'editore:

http://libri.terre.it/libri/collana/0/libro/628/Niente-paura-Little-Wood!

Devilman Crybaby

Mostri budinosi e coacervi tentacolari di tette e vagine dentate, festini orgiastici che si trasformano in fontane di sangue. Un parossismo di follie e assurdità multiformi.
Masaaki Yuasa è il meno giapponese fra gli autori giapponesi. Nelle sue opere (vedasi il lungometraggio "Mind Games") personaggi amorali e dissennati si confrontano con situazioni assurde e imprevedibili, e l'intero edificio visivo (character design, animazione e deformazioni incongrue) sfida ogni canone stilistico non solo dell'anime ma dell'animazione tutta.
Devilman Crybaby, a differenza degli altri lavori di Yuasa, parte da uno spartito altrui - e non un altrui qualsiasi, ma il venerato Go Nagai.


Il risultato è però un'opera totalmente di Yuasa, e l'approccio tradisce il Maestro nel più rispettoso dei modi, con un'onestà, una credibilità profonda che a un omaggio riverente e calligrafico sarebbe mancata.
Posto che la trasposizione da un linguaggio a un altro sarà sempre una forzatura e dovrà sempre pagare lo scotto di non essere l'originale, tanto vale creare coraggiosamente qualcosa di totalmente nuovo, che dell'originale non tradisca lo spirito: e Devilman Crybaby fuggendo a gambe levate dall'originale, paradossalmente più di tutte le altre serie anime realizzate negli anni (più di tutti i giustamente amatissimi Mazinga e pure del Devilman originale) sembra rispettare il vero spirito provocatorio del Maestro Nagai.
Il Go Nagai televisivo è sempre stato accessibile, rassicurante, calligrafico molto più del mangaka a volte deliziosamente, perverso sporco, sadico e pruriginoso. Paradossalmente, in quest'opera così irrispettosa e diversa si trova molto più il Maestro che in qualsiasi trasposizione televisiva precedente.
Un'operazione coraggiosissima e assolutamente riuscita, insomma, che probabilmente sarebbe stato impossibile tentare fino a pochi anni fa al servizio dei network televisivi tradizionali.
Sarebbe bellissimo adesso vedere Yuasa all'opera con Kekko Kamen.

Voto: 15 Bp*



*1 Bp, o Barbapapà, è la mia unità di misura per l'animazione. 1 Bp equivale al piacere provato da un bimbo di cinque anni guardando Barbapapà il pomeriggio facendo merenda.

Inside

Mentre i cloni dell'indimenticabile Limbo si moltiplicano con alterni (in genere scadenti) risultati, la danese Playdead di Arnt ...