martedì 13 marzo 2018

Deponia

[questo testo contiene qualche spoiler, solo sulle fasi iniziali del gioco ed evidenziato in carattere ridotto]

Da tempo volevo provare questo giochino che in molti hanno indicato come il degno successore di Monkey Island.
La sensazione sin dal primo istante è stata di frustrazione e claustrofobia. 
Perché uno spazzolino deve saltar via dal lavabo e vivere di vita propria? Non fa assolutamente ridere, non è nonsense (il nonsense è un'arte), è stupido e basta. Perché da subito devi prendermi per scemo, gioco?
Fortunatamente, dopo una prima schermata che sembra fatta apposta per infastidire e scoraggiare le migliori intenzioni, il gioco inizia a muoversi un po'. Dialoghi e battute, cose da fare, da guardare e da cercare.
Da giocatore di lunga data di avventure punta-e-clicca, benché arrugginito dalla lunga pausa, sono riuscito ad andare avanti per un po' senza consultare aiuti e walkthrough online e ho sorriso per qualche battuta anche simpatica (Rufus, il protagonista, viene ripetutamente sbeffeggiato come causa di immani disastri sin dal compimento degli otto anni), ma la sensazione con l'allargarsi degli spazi e l'aumentare degli oggetti nell'inventario resta quella, insistente: frustrazione e claustrofobia. Sì, è quel che gli autori volevano trasmettere (Rufus prova da anni a fuggire dal pianeta-discarica di Deponia, e lo humour consiste esattamente nella lungamente covata, avvilente frustrazione del protagonista) ma a un certo punto questa cosa diventa... troppo.
Ok, ho fatto esplodere le case dei tre tizi in fila prima di me per parlare con il sindaco. Ho fatto la genialata di liberare le manette, le ho attaccate alla base della prigione e sbloccato il buco, ho preso la chiave, splendido. Perché sono ancora bloccato?
 
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Dopo tanto e tempo a girare per le stesse location passando il mouse su tutto lo schermo in cerca di oggetti da toccare guardare o raccogliere, provando praticamente tutti gli oggetti dell'inventario su qualunque punto del fondale, e tutto questo per fare un caffè, anche il più duro dei giocatori si arrende e dà un'occhiatina agli aiuti online.
Ah, devo usare l'amo col palloncino riempito di gas esilarante per aprire il coperchio del comignolo (!). Ah, l'acqua che esce dal pozzo non la posso raccogliere col bicchiere (!?). Ah, devo usare il bastone da rabdomante sul minuscolo pulsantino sulla scrivania (!!!) per prendere la bottiglietta (!). Ah, devo pulire il parabrezza della macchina con la spugna intinta nella pentola che bolle. Ah, devo rubare lo stetoscopio e infilarlo nella tasca del sindaco per poter svegliare Goal e vedere tre secondi di animazione e farmi dire qual è la prossima cosa da cercare.
E grande, immenso, straordinario nel cielo si staglia il mio fanculo.
Nulla di tutto questo ha il benché minimo senso. E soprattutto, la sensazione generale è che questo vagare per tre stanzette per dare una (non)logica a oggetti a caso non valga la pena. La delusione è tanta perché non mi aspettavo certo un gioco facile, ma non tollero gli enigmi privi di senso.
No, questo non è il successore di Monkey Island. Di certo non dei meravigliosi Monkey Island 1 e 2 di Ron Gilbert. Forse del terzo, dove Guybrush diventava un comune adolescente ammerigano ADHD da cartone animato fast&stupid.
Fatico a credere che qualcuno si sia sorbito per intero, senza mai chiedere aiuti, divertendosi, le quattro (QUATTRO) parti di questo gioco demente.

Le avventure grafiche sono una cosa seria. E l'umorismo è una cosa serissima.
Missione fallita.

Voto: 02, Pn*


* un Pn, o Pong, è l'unità di misura che ho scelto per i videogame. Un Pn equivale al piacere che si poteva provare nel 1978 a far rimbalzare una pallina quadrata su una racchetta rettangolare.


 

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